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Dall’America sembra che per le startup di tecnologia climatica “saranno sei mesi difficili” dice PicthBook e mentre il settore si adatta a un nuovo regime di politica energetica sotto il neoeletto presidente Donald Trump, “ci sarà un freddo nell’aria per il finanziamento dei progetti e la raccolta di fondi importante per le aziende sulla linea di fuoco”. Il piano d’azione conservatore, il Project 2025, non vedrebbe di buon occhio le politiche climatiche democratiche; ne avevamo già scritto qui.
Nell’ultimo periodo, i rendimenti nel settore sono calati, nonostante le politiche di Biden, come l’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022, che stanziò circa un trilione di dollari per la transizione energetica, quest’anno le aziende in late-stage e growth-stage hanno raccolto un totale di 5 miliardi di dollari nel venture capital, rispetto ai 14,8 miliardi di dollari raccolti nel 2023, secondo il Carbon & Emissions Tech Report del terzo trimestre 2024. Lo stato dei finanziamenti VC a favore della tecnologia climatica appare molto diverso rispetto a qualche anno fa, molto probabilmente perché i bassi tassi di interesse in precedenza avevano spinto l’attività elevata dei fondi generalisti rialzisti sulla transizione energetica.
In questo scenario, parallelamente, negli ultimi mesi le ultime notizie dal settore tecnologico hanno riguardato l’avvicinamento delle big tech all’energia nucleare. La prima a puntare la direzione verso il nucleare era stata Amazon a marzo di quest’anno, acquistando da Talen Energy un data center alimentato con energia nucleare. A seguire, a ottobre è stato il momento di Microsoft che assieme a Constellation Energy ha firmato l’accordo per ripristinare un’unità dell’impianto di Three Mile Island in Pennsylvania, luogo di uno dei peggiori incidenti nucleari. E nello stesso mese anche Alphabet (Google) ha dichiarato di aver firmato con la startup Kairos Power il primo accordo al mondo per acquistare energia da piccoli reattori modulari (SMR), per andare incontro alla necessità di approvvigionamento di elettricità da parte dell’intelligenza artificiale.
Ecco che i rendimenti più scarsi del settore climate tech succedono in un periodo di grande necessità: i data center divorano energia per la forte crescita della domanda di intelligenza artificiale e cloud. Il consumo energetico dei data center statunitensi potrebbe quindi triplicare all’incirca tra il 2023 e il 2030, richiedendo pressoché 47 gigawatt di nuova capacità di generazione, secondo Goldman Sachs, gli stessi a presupporre in passato che gas naturale, energia eolica e solare avrebbero colmato il divario.
Proprio la svolta di Microsoft e Google verso il nucleare ha fatto schizzare nell’ultimo periodo le quotazioni delle società attive nel settore dell’energia nucleare. Il Financial Times sottolinea come questi accordi rappresentano una vera e propria “rinascita” del settore nucleare, dopo il crollo di fiducia seguito al disastro di Fukushima nel 2011.
Per la prima volta la necessità di alimentare data center sempre più energivori e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili sta spingendo i giganti della tecnologia a investire in soluzioni nucleari avanzate.
Tuttavia, ciò potrebbe dimostrarsi un’opportunità, come la stessa vittoria di Trump. Il ricorso all’energia nucleare, infatti, potrebbe portare le politiche ad investire in soluzioni differenti, spingendo più sul clean tech. Non bisogna dimenticare che Trump avrà difficoltà a eliminare l’Inflation Reduction Act, nonostante da candidato abbia promesso di farlo e contestualmente spinto a nuove esplorazioni petrolifere. Infatti molti «conservatori hanno visto un afflusso sproporzionato di investimenti e posti di lavoro nelle energie pulite nelle loro circoscrizioni», scrive il Guardian, e in effetti, che la transizione ecologica richieda più posti di lavoro rispetto a quelli che farà perdere è cosa nota da tempo secondo l’Agenzia internazionale per l’energia. Inoltre, tale prospettiva di un minore supporto federale per le nuove tecnologie climatiche sta già motivando alcuni investitori a intervenire per colmare il vuoto: per esempio, il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) ha stanziato 50 milioni di euro per il World Fund, dedicato allo sviluppo di tecnologie climatiche. Questo impegno si unisce a quello di oltre 200 altri investitori, tra cui PwC Germania, Ecosia e il fondo pensione dell’Agenzia per l’Ambiente del Regno Unito. “L’ultima volta che Trump è stato al potere, si è assistito a un’accelerazione del capitale privato che si è riversato in alcune aree climatiche per compensare le lacune da cui il governo si stava ritirando, e mi aspetto che accada di nuovo la stessa cosa”, dice Philip Krim, co-fondatore e amministratore delegato di Montauk Climate. “Pensiamo a questo come a un’opportunità per entrare dove il capitale inizia a prosciugarsi”. Infatti alcuni investitori vedono il ritorno di Trump come un’opportunità, nonostante l’incertezza macroeconomica legata alla governance. “La politica sale e scende. È come sulle montagne russe”, ha spiega David Miller, co-fondatore e managing partner di Clean Energy Ventures. “Una buona strategia di investimento è investire a basso prezzo quando le cose sembrano meno certe e vendere a un prezzo alto”.
Ma quello cui si sta assistendo sulla crescita dell’energia pulita riguarderebbe i mutamenti geopolitici. Le politiche energetiche e gli obiettivi climatici, infatti, pur essendo influenti, non sarebbero più gli unici fattori a spingere la crescita dell’energia pulita. Come si legge su Outlook Macroeconomico Mensile di IMPact. oggi “il controllo delle tecnologie pulite è diventato oggetto di competizione geopolitica ed industriale tra diverse aree economiche, in primis Cina, Stati Uniti ed Europa”.
Per avere una panoramica più spiccata, abbiamo dialogato con Dario Mangilli, head of sustainability di IMPact.
- In che modo Stati Uniti, Cina ed Europa stanno competendo per il primato nelle tecnologie pulite, e quali strategie industriali e geopolitiche stanno adottando?
Dario Mangilli, head of sustainability di IMPact.
Sebbene le politiche energetiche e gli obiettivi climatici rimangano fattori influenti, a oggi la crescita degli investimenti nelle tecnologie pulite è sempre più guidata dalla competizione geopolitica ed industriale tra diverse aree economiche, in primis Cina, Stati Uniti ed Europa. L’esperienza degli ultimi anni ha mostrato quanto rapidamente le dipendenze possano trasformarsi in vulnerabilità, una lezione che si applica anche alle catene di approvvigionamento dell’energia pulita, caratterizzate da un’elevata concentrazione geografica e di mercato. A dominare oggi sia la produzione sia la domanda di tecnologie energetiche pulite è la Cina. Dei 17 milioni di veicoli elettrici venduti nel 2024, 10 milioni sono stati venduti nel mercato cinese, rappresentando oltre il 50% delle auto vendute nel Paese. Oltre il 60% della capacità fotovoltaica globale installata nel 2023 è cinese. La quota della Cina nella produzione globale di tutte e sei le principali tecnologie pulite, in termini di valore, è oggi intorno al 70%. Per esempio, il più grande impianto di produzione di fotovoltaico solare della Cina, in costruzione nella provincia di Shanxi, potrebbe da solo produrre moduli sufficienti a coprire virtualmente tutta la domanda dell’Unione Europea. In risposta al dominio cinese, negli ultimi due anni gli Stati Uniti hanno introdotto l’Inflation Reduction Act (IRA), l’Europa il Green Deal Industrial Plan e il Giappone il Green Transformation Plan.
- Quali scenari si prospettano per il settore cleantech con la vittoria di Donald Trump? E in che misura l’Inflation Reduction Act potrebbe sopravvivere a un cambio di presidenza, e che ruolo potrebbero giocare i capitali privati per compensare eventuali tagli federali?
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca rappresenta una significativa incognita per il panorama globale delle tecnologie pulite, ma è improbabile che comporti un drastico ridimensionamento delle prospettive di crescita del settore. Nel contesto americano, rimane difficile immaginare che l’opposizione ideologica di Trump alla questione climatica sia tale da intaccare gli interessi economici derivanti dai finanziamenti esistenti per le energie rinnovabili. Ne sono un esempio le recenti pressioni di parlamentari repubblicani affinché vengano mantenuti i crediti d’imposta dell’Inflation Reduction Act, che hanno avuto un impatto occupazionale significativo soprattutto negli stati tradizionalmente repubblicani.
- Alla luce dell’incertezza macroeconomica e politica, quali opportunità si aprono per il mercato azionario e gli investitori privati nel settore delle tecnologie climatiche e dell’energia pulita?
Guardando alle prospettive di crescita del mercato, le opportunità sono notevoli. Secondo i dati dell’International Energy Agency (IEA), la dimensione del mercato globale per le sei principali tecnologie di energia pulita: fotovoltaico solare, eolico, veicoli elettrici (EV), batterie, elettrolizzatori e pompe di calore, è cresciuta di quasi quattro volte dal 2015, superando i 700 miliardi di dollari nel 2023, equivalente alla metà del mercato globale di gas naturale. Con le attuali politiche, il valore dei mercati delle principali tecnologie pulite è destinato a triplicare entro il 2035, superando i 2.000 miliardi di dollari, un livello equivalente all’attuale mercato globale del petrolio. Il commercio di tecnologie pulite vale già ad oggi 200 miliardi di euro all’anno. Il contributo principale viene dalle auto elettriche, che ne rappresentano il 20%. Il fotovoltaico solare è la seconda tecnologia più commerciata. Il valore del mercato globale di queste tecnologie dovrebbe raggiungere i 575 miliardi di dollari entro il 2035.
I mercati finanziari quotati sono passati negli ultimi tre anni da un ottimismo smisurato a un pessimismo cosmico nel prezzare i titoli cleantech, a fronte di una traiettoria di crescita strutturale delle tecnologie strumentali ai processi di decarbonizzazione. Se da un lato le strategie industriali di Europa, Stati Uniti e Cina avranno inevitabilmente implicazioni significative per gli investitori nei prossimi anni, dall’altro rimane difficile oggi capire quali saranno gli effetti netti: l’aumento dei costi produttivi e il decoupling industriale aprono nuovi scenari, caratterizzati da forte incertezza e destinati a influenzare il panorama economico globale nel corso del 2025. Rimarrà cruciale monitorare la capacità di difendere i margini delle singole aziende cleantech e valutare attentamente se a dominare saranno gli stimoli alla curva di offerta delle tecnologie pulite o le pressioni inflattive sulla curva di domanda, derivanti dalle misure protezionistiche e dai processi di re-shoring.
- Il ritorno al nucleare da parte di giganti tecnologici come Google e Microsoft rappresenta una soluzione temporanea o una tendenza destinata a ridefinire il futuro della transizione energetica?
Non rappresenta una soluzione temporanea, ma un trend strutturale. Negli scenari Net Zero delineati da organizzazioni internazionali come l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), il nucleare gioca un ruolo cruciale. Nello specifico, secondo il Net Zero Emissions Scenario (NZE) dell’IEA, la capacità nucleare globale dovrebbe crescere significativamente entro il 2050, contribuendo a circa il 12-15% del mix energetico globale. Questo implica un aumento della capacità installata dai circa 400 GW attuali a oltre 800 GW entro il 2050, attraverso il potenziamento di impianti esistenti e lo sviluppo di nuove tecnologie, come i reattori modulari di piccole dimensioni (SMR). Non è tecnicamente possibile oggi immaginare sistemi energetici più elettrificati e decarbonizzati senza l’utilizzo di energia nucleare. La Germania, che ha deciso di uscire dal nucleare in seguito all’incidente di Fukushima, si trova oggi ad avere il carbone ancora come principale fonte di elettricità.
- Come la crescente competizione geopolitica sta influenzando la ricerca e lo sviluppo nel settore delle tecnologie climatiche? Il controllo delle tecnologie pulite potrebbe diventare un’arma strategica nelle relazioni internazionali?
Controllare le catene del valore e il mercato delle tecnologie pulite vuol dire non solo acquisire una posizione di leadership sul piano internazionale nelle strategie di decarbonizzazione, ma vuol dire anche garantire maggiore sicurezza energetica, maggiore capacità occupazionale e un prezzo dell’energia più competitivo in uno scenario geopolitico internazionale frammentato e vulnerabile. La ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie climatiche vedrà il budget pubblico e privato crescere strutturalmente. I Paesi che investiranno di più in nuove tecnologie climatiche saranno quelli che avranno maggiore competitività industriale. E questo non vale solo per le tecnologie climatiche di mitigazione, ma anche per quelle strumentali a sviluppare capacità adattiva di fronte all’inevitabile peggioramento degli impatti del cambiamento climatico nei prossimi anni. È certo che la crisi climatica si inasprirà e gli effetti saranno materiali per tutti i settori. Investire nelle tecnologie di adattamento e resilienza sarà fondamentale per proteggere i settori chiave dagli effetti distruttivi del cambiamento climatico. Un esempio rappresentativo lo si trova osservando gli investimenti che le aziende big tech e i governi stanno facendo nel campo delle previsioni meteorologiche: saper prevedere in modo più accurato eventi estremi diventerà fonte di vantaggi competitivi per interi settori. (Foto di CHUTTERSNAP su Unsplash)
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